domenica 10 febbraio 2013

The white Stripes !







Le righe tornano. Sempre. Gli spazi bianchi fra una riga e l'altra, anche.
Ormai sono come il bianco e il nero. Il blu e il pois. Un classico.
In autunno e d'inverno sdrammatizzano tutto quel nero ed antracite e grigio fumo sotto i quali ci impantaniamo spesso, per pigra negligenza, nascosta sotto un cardigan o il maglioncino a V.
 In primavera ricordano tempi nei quali le mamme ritrovavano meglio il bambino se la maglietta che portava era sengnaletica. D'estate ad un certo punto sembrano che ce l'abbiano tutti. Tir interi distribuiti di qualsiasi cosa a righe come se piovesse.
Ma allora finisco per preferire le righe sottili come capellini in brodo, magari multicolor e leggermente sovrapposte. Di colori improbabili meglio.
La riga è decisa e non passa inosservata. Mischiata e trade d'union fra pattern di colori pastosi o fantasie caotiche crea ordine ed equilibrio. 
In macro è troppo arrogante. Ho detestato vedere quanto fosse considerata cool, da ragazzine morbide finto estroverse che la scelgono per l'implicito effetto evidenziatore. Per poi annunciare una spavalda ritrosia a sottostare alla lente d'ingrandimento dello sguardo degli altri. Se sposi il macro a meno che tu non sia un filo d'erba, diventi macro. Un po' di coerenza. Questo è un gioco. Me è nel gioco che noi, bambini tutti, ci esprimiamo.








Io ho un pigiama a righe, rosse e blu. Made in UK . Da uomo. Con tanto di apertura sul davanti chiusa da tre bottoni. Amo il mio pigiama. Lo preferisco a tutti gli altri.
La riga è un uniforme. La riga è un milione di foto dei sopravvissuti all'Olocausto.
 La riga di uno spartito.
La riga sulla testa . La separazione naturale tra i capelli.
Un materasso a righe. Nudo, sopra la rete. Senza lenzuola a proteggerlo. Di una casa che si sta per lasciare o dove si è appena arrivati.
Nel quaderno a righe, io uscivo sempre e scrivevo ogni mezza riga, come se non bastasse il fatto che fossi mancina e portassi in giro l'inchiostro per il foglio, attraverso la pelle come un timbro.











La riga mi ricorda Sylvia Plath. Il suo dibattersi fra l'essere Verticale od Orizzontale.
La sua essenza graffiata da un'aspirazione incompiuta. Perchè ciò che avrebbe voluto essere non era stata mai. E ciò che era la inchiodava al suolo.

Con lei troviamoci intorno alle quattro del mattino, “in quell’ora azzurra, immobile, silenziosa, quasi eterna che precede il canto del gallo, il grido del bambino, la musica tintinnante del lattaio che posa le bottiglie”, Sylvia Plath oggettiva in simboli , con le sue idee e suggestioni crea una cosmologia personale che verrà apprezzata soltanto dopo la sua morte e che la farà diventare la poetessa più importante e tormentata del secolo scorso.








L’amore come un uncino, un gancio che afferra e tormenta la carne; un padre e un marito come fantasmi, ombre che legano, vincolano, incatenano; una madre come natura incurante e maligna o come bocca vorace che paralizza e inghiotte; l’io staccato da sé stesso che indossa la maschera dell’omicida, del vampiro che prosciuga il respiro; i manichini, le calve figure senza volto, che diventano le figurazioni della luna spettrale, ora bocca aperta in una O di dolore ora teschio col cappuccio d’osso; lo specchio e il lago come luoghi di riflessi che generano sdoppiamenti e moltiplicazioni ossessive; i fiori come simbolo di vitalità e femminilità feconda o come presenze abnormi, divoratrici, spossessatori della persona o raggelanti e funeree; le bende, la stoffa, il vento, le nuvole e l’aria come simboli di soffocazione, di imbavagliamento, di dissolvimento fisico, di incomunicabilità.




Io sono verticale

Ma preferirei essere orizzontale.
Non sono un albero con radici nel suolo
succhiante minerali e amore materno
così da poter brillare di foglie a ogni marzo,
né sono la beltà di un'aiuola
ultradipinta che susciti grida di meraviglia,
senza sapere che presto dovrò perdere i miei petali.
Confronto a me, un albero è immortale
e la cima di un fiore, non alta, ma più clamorosa:
dell'uno la lunga vita, dell'altra mi manca l'audacia.

Stasera, all'infinitesimo lume delle stelle,
alberi e fiori hanno sparso i loro freddi profumi.
Ci passo in mezzo ma nessuno di loro ne fa caso.
A volte io penso che mentre dormo
forse assomiglio a loro nel modo piu' perfetto -
con i miei pensieri andati in nebbia.
Stare sdraiata è per me piu' naturale.
Allora il cielo ed io siamo in aperto colloquio,
e sarò utile il giorno che resto sdraiata per sempre:
finalmente gli alberi mi toccheranno, i fiori avranno tempo per me.

Pubblicata nell'estate del 1961 nel "Critial Quarterly" e inclusa in Crossing the Water. Nel testo originale si può apprezzare la struttura: due strofe di 10 versi con rime baciate.











“Quello che mi spaventa di più, credo, è la morte dell’immaginazione. Quando il cielo là fuori è semplicemente rosa e i tetti semplicemente neri: quella mente fotografica che paradossalmente dice la verità sul mondo, ma una verità senza valore. È questo spirito sintetizzante che io desidero, questa forza ‘plasmante’ che germoglia prolifica e crea mondi suoi con più estro e fantasia di Dio.”








In un mondo dove cultura e politica restano, almeno ai livelli più elevati, appannaggio esclusivo degli uomini, i temi della Plath cercano parole, immagini e miti femminili per far parlare alle donne una lingua che appartenga esclusivamente a loro. Le voci plathiane, con i ritmi e i suoni del corpo, evocano il momento del parto, la disperazione di un aborto, l’eccitazione del rapporto sessuale, l’orrore delle torture, lo stordimento dell’abbandono, la tenerezza della maternità. L’inquietudine, la paura e le incertezze delle donne, e di tutto ciò che è vivente si traducono in una continua e angosciante riflessione sulla propria capacità creativa, sulla fatica della scrittura che si muove continuamente tra assenza e presenza.








“Di nuovo percepisco il divario tra i miei desideri e le mie ambizioni da una parte e le mie capacità nude e crude dall’altra. Ma continuerò caparbiamente a scrivere le mie tre pagine al giorno, anche se i miei supervisori sono sprezzanti.”
Diari


Ecco che lei nella riga ed entro la riga si rifugia e chiede asilo. Libertà e prigione.
















"Vidi la mia vita diramarsi davanti a me come il verde albero di fico del racconto.
Dalla punta di ciascun ramo occhieggiava e ammiccava, come un bel fico maturo, un futuro meraviglioso. Un fico rappresentava un marito e dei figli e una vita domestica felice, un altro fico rappresentava la famosa poetessa, un altro la brillante accademica, un altro ancora era Esther Greenwood, direttrice di una prestigiosa rivista, un altro era l’Europa e l’Africa e il Sudamerica, un altro fico era Costantin, Socrate, Attila e tutta una schiera di amanti dai nomi bizzarri e dai mestieri anticonvenzionali, un altro fico era la campionessa olimpionica di vela, e dietro e al di sopra di questi fichi ce n’erano molti altri che non riuscivo a distinguere.
E vidi me stessa seduta alla biforcazione dell’albero, che morivo di fame per non saper decidere quale fico cogliere."
Da " La Campana di vetro"







Sylvia Plath in realtà è obliqua. " La bambina che voleva essere dio."
In bilico fra la perfezione ed il difetto.
Fra l'acuto desiderio di isolamento e la necessità di avere conferme continue dagli altri. 
Torniamo però alla nostra maglietta a righe...













Nata su fondo bianca con righe blu, la versione più classica vuole il collo a barchetta con 21 (è il numero delle battaglie di Napoleone ...) righe, di spessore non inferiore a 2 cm. 
Il materiale? Una robusta tela di cotone. Ma anche di lana fa la sua figura, specie se il filato è sottile, Di quelli super resistenti per veri uomini di mare. Tuttavia dal tempo in cui ne facevano uso gondolieri e prigiornieri, e dopo essere salita in passerella a partire dagli anni Sessanta, la Breton ha subito alcune variazioni. E spesso la si ritrova con la manica corta, con righe più spesse rispetto ai suoi canoni, con incursioni di colori diversi dal classico bianco e blu. Il mood tuttavia non cambia e la maglia a righe rimane, a dispetto degli anni, un capo evergreen da tirar fuori d'estate, ma in qualsiasi altra stagione in qualunque modo la vogliate indossare.







In Bretagna, portata da uomini e donne indistintamente, diventata quasi il simbolo della suddetta regione francese. Indossata, nel corso degli anni, da svariati personaggi.
 Pablo Picasso , fan assoluto di questa maglia,  la portava sempre abbinandola in modi eccentrici con un paio di pantaloni scozzesi , poi ci fu James Dean, Iggy Pop, Andy Warhol, Kurt Cobain.








E come non ricordare Coco Chanel ... a lei la responsabilità di averne fatto un capo alla moda, a Brigitte Bardot di averla indossata con shorts e a piedi nudi rendendo la maglia sensualissima e ammicccante.
 Sono gli anni di Portofino, Saint Tropez e e la maglia a righe è nel pieno del suo boom, complice la tendenza sailor che si diffonde nella moda (nel '62 Yves Saint Laurent realizza il primo look Alta Moda con cappotto blu con bottoni oro e pantaloni bianchi) determinante quel ragazzo eclettico francese all'anagrafe Jean Paul Gaultier che nell''85 indossa la Breton con il kilt scozzese e lancia la gonna da uomo abbinata a questa maglia, facendola indossare a uomini e donne con trench, pantaloni, abiti o giacche di pelle o da sera in paillettes o lurex e sotto allo smoking.








La maglia a righe diverrrà simbolo dello stile Gautier prima e Moschino poi, e nel frattempo la Breton ha conquistato anche il guardaroba maschile divenendo capo universale. Indossato anche dall'elegantissimo Duca di Windsor (a volte è l'unico tratto distintivo degno di nota del suddetto)  che porta maglioncini con righe tanto d'estate quanto d'inverno. E' la moda da yachtman, status symbol di una certa società.











Michel Pastoureau, docente alla Sorbona di Parigi, è ritenuto il massimo esperto di colori al mondo.
 Nel suo libro “La stoffa del diavolo- una storia delle righe e dei tessuti rigati” (Il Nuovo Melangolo), indaga come la rigatura nel vestiario sia stata per tanti secoli giudicata “diabolica”, disprezzata e screditata in ogni modo perché ritenuta appunto tessuto del demonio. Si prenda il caso dei Carmelitani che indossavano, a differenza di altri ordini monastici, un mantello a righe ed erano perciò giudicati “trasgressivi”, in combutta con l’Anticristo, tanto che un Papa, Alessandro VI, arrivò a chieder loro espressamente di cambiare “look”.







Questa avversione non solo popolare nei confronti degli abiti rigati può essere fatta risalire a certe intolleranze e fobie religiose, che identificavano nel manto a righe un indumento appartenente a religioni considerate esotiche.
Nell’Alto Medioevo gli abiti rigati cominciarono ad essere imposti a tutti coloro che venivano classificati come devianti – marinai, buffoni, boia, prostitute, infermi, zingari, eretici, ebrei – con la chiara intenzione di “marchiarli” e così escluderli dal consesso sociale. E’ evidente come sotto siffatte disposizioni ci fosse la volontà di discriminare determinate categorie di persone per motivi soprattutto politici, economici ed ideologici.








Bisognerà arrivare al Cinquecento perché la rigatura perda un po’ della sua aura demoniaca e questo accaddeorigine proprio in Italia, dove gli aristocratici veneziani presero al loro servizio molti giovani africani e decisero di vestirli a righe per sottolinearne la chiara condizione di “schiavi”; ma col tempo questo abbigliamento acquistò un certo tocco di esotismo che evocava suggestioni di libertà , che specialmente gli artisti colsero e rappresentarono nelle loro opere (nella grafica come nella pittura e nel teatro). Non si scordi, comunque, che fino a metà “˜900 camerieri e maggiordomi indossarono il gilet rigato (nato nell’Inghilterra vittoriana e poi diffuso in tutto l’Occidente).
 E tuttora l’abito a righe è rimasto l’archetipo per eccellenza della condizione di prigionia, resistendo saldamente nell’immaginario di fumettisti e pubblicitari.







Che significato dare al bianco che si insinua fra una riga e l'altra ?
A me piace considerarlo uno spazio personale dove si muove la Libertà di essere e apparire come ci pare e piace. Senza limiti.